di Laura Abbadessa
“Inizia il viaggio”. Così dice il protagonista del romanzo di Jules Verne quando si trova ad un passo da quei luoghi da cui non potrà più tornare indietro. Un viaggio che non immaginava potesse condurlo così lontano. Un viaggio che nemmeno tu immaginavi potesse condurti così lontano.
E’ l’alba sul lago Tanganica. Un silenzio assoluto, denso, profondo. Una sorta di dolce beatitudine. Provi ad imprimere nella mente questi attimi di vita silenziosa. Non c’è mai modo di decidere prima quello che poi si ricorderà, i ricordi hanno un che di inafferrabile, si mescolano tra loro. Eppure, se c’è una possibilità per tornare nuovamente in certi luoghi, di riprovare certe emozioni, quella è attraverso la strada del ricordo.
Il lago placido ed immoto, il silenzio, la natura. E poi? Quali altre immagini ed altri ricordi rimarranno? Come raccontare dell’Africa a chi non l’ha mai conosciuta? A chi non ha mai accarezzato quella terra polverosa?
L’Africa è terra di povertà estrema, di fame, di malattie, di guerre civili, tecnologicamente arretrata, luogo in cui talvolta anche l’acqua potabile diviene un lusso. Dove non solo si vive alla giornata ma letteralmente si sopravvive ed in cui dolore e sofferenza segnano i volti essiccati della gente che vi abita. Tutto vero. Ma è un errore relegare il giudizio su questa terra ai noti, limitati stereotipi. L’Africa è anche (soprattutto) tanto altro.
Una terra che racchiude una ricchezza umana e spirituale straordinaria; dove la gente ti saluta anche se non ti conosce. Luogo in cui la felicità si trova nelle piccole cose e non costa nulla.
L’Africa è quella dei bambini a piedi nudi che ti corrono dietro lungo quelle strade di terra rossa, quella terra “che purifica e non sporca” come ti ha recentemente detto un prete che ha incrociato il tuo cammino.
Percorrere queste strade non vuol dire solo andare da un luogo all’altro ma accedere ad una dimensione in cui il fluire del tempo appare sotto un’altra luce. I bambini che le popolano hanno poco o niente eppure giocano, si divertono, scherzano, sconoscono la noia.
Osservi i loro occhi profondi e i loro sorrisi allegri mentre si divertono a spingere una ruota di bicicletta con un bastone, quando ti chiamano “mzungu” (uomo bianco) o passeggiano con la loro capra al seguito. Quegli sguardi e quei sorrisi riempiono l’anima di chi ha la fortuna di accoglierli.
L’Africa è quella delle donne dai volti gentili che osservi mentre condividono con te le loro storie. La condizione femminile in Africa, soprattutto qui, in quella subsahariana, è tristemente nota. In questa parte del mondo è ancora profonda la piaga della violenza di genere: le donne devono fronteggiare abusi domestici, violenze sessuali e pratiche altamente lesive come le mutilazioni genitali.
Alla maggior parte di loro vengono sistematicamente negati i diritti fondamentali e l’emancipazione e l’indipendenza economica sono ancora delle chimere. Allo stesso modo l’accesso (inesistente) ai servizi sanitari.
Mentre in Europa si fanno sempre meno figli, il continente africano sta registrando una crescita esponenziale a livello demografico: le giovani donne si sposano generalmente prima dei diciotto anni, spesso con uomini anziani o in matrimoni poligami. Di queste, quasi la metà ha almeno 5 figli: più del doppio rispetto alla media globale. E quasi 300.000 nella sola Africa subsahariana muoiono ancora di parto.
Dovresti essere preparata sulle loro condizioni, eppure ti ritrovi a fare i conti con sensazioni opposte e contraddittorie dinanzi a quella giovane costretta a sposare il proprio violentatore, a quella mamma con il figlio malato avvolto in un pezzo di stoffa a contatto con il proprio corpo, a quella donna che non chiede altro che un tetto ed un giaciglio.
Sorpresa, compassione ed umana impotenza. Ascolti i racconti dei dolori che si intrecciano e si contagiano perché hanno una radice comune. Presti attenzione ai silenzi, alle pause, non riesci ad immaginare la loro sofferenza.
In alcuni momenti ti senti un’intrusa: non vuoi che il tuo gesto sia interpretato come quello che appaghi il senso di colpa dell’uomo bianco che dalla sua posizione conceda qualche momento di ascolto e di considerazione. Inoltre, c’è sempre stupore quando l’altro si apre offrendoti tanto di sé e tu ancora hai dato poco o nulla.
Eppure, loro non si vergognano. Si mostrano così come sono. Poveri siamo noi che non ci vergogniamo della nostra opulenza e che siamo pieni di pregiudizi.
L’Africa è anche quella del sacerdote che, riflettendo sul Vangelo del giorno alla messa domenicale, esorta la sua gente alla condivisione con i più poveri. E tu li vedi tutti lì, in fila, durante la raccolta delle offerte, ad adempiere quanto richiesto e ripensi ai loro bambini che si dividono le caramelle come se fosse il gesto più naturale del mondo.
Ma in quella chiesa spoglia in mezzo alle capanne di terra ed alle piantagioni di caffè, hai compreso qualcosa di ancora più decisivo, profondo, esistenziale: condivisione è responsabilità, cooperazione, sostegno, solidarietà. È donare il proprio tempo, la propria considerazione, il proprio essere, il proprio sorriso. Esattamente come hai osservato fare in quella comunità di una regione lontana del Burundi al confine con il Ruanda.
L’Africa, dunque. L’Africa dei paesaggi, dei bambini, delle donne, della condivisione.
Eppure l’Africa è anche intorno a noi. La ritrovi nei volti di chi è costretto ad abbandonare la propria terra perché in fuga da guerre, fame e violenza. La ritrovi negli sguardi di coloro che, agli incroci delle nostre strade, cercano di trovare la dignità di un lavoro.
La ritrovi, infine, purtroppo, nei corpi, che abbiamo quasi smesso di contare, inghiottiti da quel mare in cui si consumano alcune tra le più grandi tragedie del mondo contemporaneo. Bertrand Russell diceva che quali che siano i tempi bui in cui si è costretti a vivere, l’umanità riuscirà ad emergere se acquisiremo la saggezza di cui il mondo ha bisogno.
In quest’epoca di disagio ed intolleranza saggezza è creare ponti, ascoltare, capire. Saggezza è guardare l’altro come un compagno di viaggio che desidera serenità e dignità. Saggezza è abbandonare i nostri pregiudizi, nel migliore dei casi fondati sulla ignoranza: ti viene in mente la poesia di Kipling in cui l’uomo africano viene presentato un po’ selvaggio ed eternamente fanciullo; nei casi peggiori, invece, radicati in una delle molte forme di razzismo non ancora estirpate.
E’ certamente auspicabile favorire la cooperazione internazionale, impegnandosi ad attivare politiche (serie, concrete e continuative) al fine di creare opportunità di lavoro e sviluppo nello stesso continente africano. Sul presupposto che ciascuna persona dovrebbe potere vivere con dignità nella propria terra, senza essere costretta a cercare altrove la sopravvivenza.
Eppure, saggezza è anche accogliere. È corretto aiutarli a casa loro, ma chiudere i confini, creare barriere e negare diritti significa condannare i popoli più svantaggiati ad un futuro sempre peggiore e la nostra stessa società ad un impoverimento etico e culturale.
Il viaggio è finito. Rimane come prezioso bagaglio quello che ciascuno ogni volta che ritorna porta con sé.
di Laura Abbadessa
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